Conferenza su Misteri macabri organizzata dal Cicap Lombardia presso il Museo di Scienze naturali di Brescia.
Riporto il divertente resoconto apparso sul Corriere della sera a firma di Marco Archetti
L'INFILTRATO SPECIALE TRA I FAN DI LUIGI GARLASCHELLI, DOCENTE DI CHIMICA ALL'UNIVERSITÀ DI PAVIA E STUDIOSO DI FACHIRISMO
Il cacciatore di misteri riempie il museo con zombi e prodigi.
La confessione: Lo studioso dice di aver fatto «parlare» un pollo morto: ma il mondo non è ancora pronto.
E caccia al cimitero i fuochi fatui.
Partorito, sembrerebbe, dalla fantasia del funambolico Micheal Chabon (l'estroso scrittore di supereroi de «Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay»), il professor Luigi Garlaschelli, docente di chimica all'università di Pavia e indagatore del mistero, con occhiali a fondo di bottiglia, occhietti vispi, physique du
rôle da scacchista anni '70, in possesso di un alter ego che si chiama Professor Alchemist, debutta raccontando che lui, la mano nell'azoto liquido, per cinque secondi, una volta, l'ha messa per davvero. Membro di spicco del Cicap (Comitato italiano di controllo delle affermazioni sul paranormale) e studioso di
fachirismo, introducendosi alla serata, aggiunge: «Per mia predilezione, ogni caso con cui mi trovo a che fare riguarda morti e cimiteri».
E gli si crede, dato che ha proprio l'aria un po' scapigliata e sorniona di chi, per amor scientifico, sperimenterebbe di tutto e andrebbe ovunque. Ma gli ha creduto soprattutto il folto pubblico che, giovedì sera al Museo di Scienze naturali, è accorso per sentirlo parlare di fuochi fatui, mito di Frankenstein, zombie e pietrificatori di cadaveri.
Un pubblico folto e variegato, che non ha fatto una piega quando il professore ha sfoderato con orgoglio, da una valigetta, «l'aspiratore di fuochi fatui», aggeggio di sua costruzione utilizzato qualche anno prima quando, in compagnia del professor Massimo Polidoro, cofondatore del Cicap, si rinchiuse nottetempo (previo permesso) nel cimitero di Pavia per capire meglio il suddetto fenomeno.
Il problema era: il materiale organico in decomposizione, in condizioni anaerobiche, produce metano; ma che cosa lo incendia, generando le note fiammelle? La riposta trovata? Fosfina. Ossia un composto originato dai fosfati, velenoso, che si incendia spontaneamente a contatto con l'aria, in grado di produrre vapore fosforescente. «Chi è riuscito ad avvicinarsi al punto da poter toccare il fuoco fatuo con un foglio di carta, ha notato che la carta non bruciava» ha raccontato il professore, mostrando un oggettone che, a doverlo descrivere, si direbbe ricordare una cassetta per gli attrezzi vuota, che si appende al collo e che contiene due simil-biberon senza tettarella, collegati da tubi di plastica e sormontati da un groviglio di difficile interpretazione di altri tre o quattro tubicini, alcuni dei quali collegati a una cannula aspiratrice.
Alla fin fine, la nottata ispirò svariati tentativi - condotti nei sotterranei dell'istituto universitario di Pavia, nel deposito rottami - di riprodurre un fuoco fatuo: missione compiuta.
Quanto al resto, interessante sapere che forse Mary Shelley prese l'idea per il suo più noto romanzo dall'invenzione di un certo Erasmus Darwin - il nonno di Charles - che durante quelle che si chiamavano «serate chimiche» presentò agli amici una macchina parlante di sua costruzione, ottenuta assemblando corde vocali di un cadavere e un mantice. Due le parole che la macchina pronunciò: «Mamma» e «Papà».
«Ho fatto la stessa cosa con un pollo morto» ha raccontato in chiusura il professore «e c'è anche un filmato, per cui però il mondo non è ancora pronto». Risate.
Nel suo sguardo, l'impertinenza del Franti, l'ingenuità di un Pécuchet, il gelido rigore di un Galileo.
Archetti Marco
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