giovedì 17 marzo 2011

150 anni d'Italia

Sono abbastanza vecch Ho abbastanza esperienza per ricordare come anni fa chi sventolava il tricolore era considerato un nazionalista di destra da parte di chi si rifaceva all'internazionalismo proletario, e mal sopportava tutta la retorica risorgimentale che ci ammanivano nelle scuole.
Oggi, nelle piazze si vedono sempre meno bandiere rosse e molti ideali di allora sono sbiaditi e persi.
Solo che oggi, invece, sentiamo membri dell'attuale maggioranza di governo affermare che userebbero la bandiera italiana come carta igienica, e che si allontanano quando risuona l' Inno nazionale.

E allora oggi ho letto due pezzi che mi piace riportare qua per rileggermeli comodamente ogni tanto.
Buon compleanno, Italia. Speriamo che tu cresca.


Uno è il testo di una canzone del grande Giorgio Gaber, ricordato da Odifreddi su Repubblica:


Mi scusi Presidente
non è per colpa mia
ma questa nostra Patria
non so che cosa sia.
Può darsi che mi sbagli
che sia una bella idea
ma temo che diventi
una brutta poesia.
Mi scusi Presidente
non sento un gran bisogno
dell’inno nazionale
di cui un po’ mi vergogno.
In quanto ai calciatori
non voglio giudicare
i nostri non lo sanno
o hanno più pudore.
Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Mi scusi Presidente
se arrivo all’impudenza
di dire che non sento
alcuna appartenenza.
E tranne Garibaldi
e altri eroi gloriosi
non vedo alcun motivo
per essere orgogliosi.
Mi scusi Presidente
ma ho in mente il fanatismo
delle camicie nere
al tempo del fascismo.
Da cui un bel giorno nacque
questa democrazia
che a farle i complimenti
ci vuole fantasia.
Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Questo bel Paese
pieno di poesia
ha tante pretese
ma nel nostro mondo occidentale
è la periferia.
Mi scusi Presidente
ma questo nostro Stato
che voi rappresentate
mi sembra un po’ sfasciato.
E’ anche troppo chiaro
agli occhi della gente
che tutto è calcolato
e non funziona niente.
Sarà che gli italiani
per lunga tradizione
son troppo appassionati
di ogni discussione.
Persino in parlamento
c’è un’aria incandescente
si scannano su tutto
e poi non cambia niente.
Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Mi scusi Presidente
dovete convenire
che i limiti che abbiamo
ce li dobbiamo dire.
Ma a parte il disfattismo
noi siamo quel che siamo
e abbiamo anche un passato
che non dimentichiamo.
Mi scusi Presidente
ma forse noi italiani
per gli altri siamo solo
spaghetti e mandolini.
Allora qui mi incazzo
son fiero e me ne vanto
gli sbatto sulla faccia
cos’è il Rinascimento.
Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Questo bel Paese
forse è poco saggio
ha le idee confuse
ma se fossi nato in altri luoghi
poteva andarmi peggio.
Mi scusi Presidente
ormai ne ho dette tante
c’è un’altra osservazione
che credo sia importante.
Rispetto agli stranieri
noi ci crediamo meno
ma forse abbiam capito
che il mondo è un teatrino.
Mi scusi Presidente
lo so che non gioite
se il grido “Italia, Italia”
c’è solo alle partite.
Ma un po’ per non morire
o forse un po’ per celia
abbiam fatto l’Europa
facciamo anche l’Italia.
Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo
per fortuna o purtroppo
per fortuna
per fortuna lo sono.
(Giorgio Gaber)


L'altro è un pezzo di Giulietto Chiesa da il  Fatto quotidiano.


Viva l’Italia! Nonostante tutto

Scrisse Antonio Gramsci nel 1920, sull’Ordine Nuovo, queste parole: “Lo stato italiano è stato una dittatura feroce, che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti”.

Aveva ragione. Ed è anche vero che il Risorgimento non fu per niente una “rivoluzione di popolo”, e che fu usato dalla monarchia sabauda per costruire sì uno stato unitario, ma nell’interesse di una borghesia gretta e ottusa, subito pronta ad allearsi con i latifondisti meridionali, reazionari e sanfedisti. Il fascismo nacque, figlio carnale, da quella alleanza.

Eppure l’Italia non è stata solo il risultato di questa storia. E potrebbe ancora essere, dopo 150 anni, una cosa diversa dall’immonda decadenza cui è stata costretta, o (per quelli che hanno chinato la testa) a cui si è assoggettata. Lo prova la Costituzione di cui si è dotata, dopo la caduta del fascismo.

E poiché vedo, con raccapriccio, chi sono coloro che oggi insultano il tricolore, i lanzichenecchi della Lega;  e poiché vedo chi è, e di che pasta è fatto, l’eversore che guida il governo d’Italia, contro la Costituzione, allora non posso che stare dalla parte del tricolore (anche se non mi piace l’inno di Mameli) e della Resistenza, che quella Costituzione promosse.

Festeggio  dunque il 150esimo anniversario del nostro paese: per difendere la sua unità (contro gli organizzatori potenziali della guerra civile) ; la sua democrazia (anche se così tanto minacciata); quel poco di giustizia sociale che ancora resta (anche se così tanto offesa).

Tornando a Gramsci: è un “casamatta”, nella quale difenderci e dalla quale, appena possibile, riorganizzare la controffensiva.